La sfida dell’EPBD4

Un anno, più o meno, è anche il periodo che ci separa dal momento in cui, auspicabilmente senza ritardi e meline, il Governo dovrà rendere noto come intende raggiungere gli obiettivi posti dalla EPBD4, ovvero dalla Energy Performance Building Directive, approvata in via definitiva dal Parlamento europeo il 12 marzo 2024 col voto contrario dell’Italia, ed entrata in vigore il 28 maggio 2024. 

Gli obiettivi della direttiva è meglio ricordarli, perché si strutturano su diversi livelli: 

Ci sono gli obiettivi per gli edifici, che sono sostanzialmente tre, ovvero: 

• Gli edifici di nuova costruzione devono essere a emissioni zero a partire dal 2028 per il settore pubblico e dal 2030 per i privati 

• Gli edifici esistenti devono riqualificarsi energeticamente per raggiungere l’obiettivo emissioni zero entro il 2050 

• Gli edifici residenziali devono ridurre il consumo medio di energia primaria del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035 

Ci sono poi gli obiettivi per gli Stati membri, ovvero: 

• Predisporre un Piano Nazionale di riqualificazione e ristrutturazione degli edifici 

• Fissare soglie minime di prestazione energetica per gli edifici esistenti 

• Promuovere mutui ipotecari e strumenti finanziari adeguati 

Ci sono, infine, gli obiettivi per l’edilizia, ovvero: 

• Definire una visione a lungo termine per l’edilizia, verso la neutralità climatica entro il 2050 

• Accelerare i tassi di ristrutturazione a livello nazionale, specialmente degli edifici più energivori 

• Incentivare ulteriormente il solare e/o altre fonti rinnovabili 

• Collegare la mobilità elettrica con l’edilizia, in una logica di vehicle to grid 

 

Malgrado le notevoli pressioni esercitate in occasione del recente rinnovo della Commissione Europea, che ha portato alla riconferma di Ursula Von Der Leyen, possiamo affermare che l’Unione Europea non ha fatto sostanziali passi indietro rispetto al documento approvato nel 2024, confermando obiettivi e scadenze e aprendo soltanto ad una condivisibile neutralità tecnologica. 

Questi 12 mesi, quindi, saranno cruciali per definire l’approccio dell’Italia al tema della transizione digitale ed energetica del patrimonio edilizio, con una politica che necessariamente dovrà fare i conti con le disponibilità economiche ma avere anche una visione di lungo termine, dal momento che non si potrà più sposare il day by day, tanto caro ai nostri politici, ma piuttosto definire una strategia che abbia il respiro di quasi un quarto di secolo. 

Se pensiamo poi che affrontare il tema, cruciale, della transizione energetica del patrimonio edilizio nazionale significherà affrontare indirettamente l’attuale emergenza abitativa, ma anche il tema della rigenerazione urbana, della mobilità e dei nuovi servizi digitali al cittadino, è facile concludere che applicare l’EPBD4 significherà definire di fatto un progetto politico ed economico di vasta scala e di medio lungo termine. Questa almeno, dovrebbe essere l’ambizione. 

Detto ciò, quello che voglio fare in chiusura di questo editoriale, è richiamare l’attenzione del legislatore e degli operatori su un’altra questione che non potrà non essere affrontata, ovvero la penuria di personale tecnico, sia in termini numerici che qualitativi, in grado di mettere a terra la twin transition del patrimonio edilizio italiano. Un tema a lungo trascurato che sta diventando un’emergenza nazionale, come dimostrano ampiamente i dati di una recente indagine condotta dal CRESME per ANIE. 

Affianco alle strategie di lungo termine per la transizione energetica e digitale del patrimonio edilizio, si renderà quindi necessario lavorare anche su questo tema, e bisognerà farlo su più livelli in modo sistematico, ovvero orientando i giovani a intraprendere una professione che non ha più nulla a che vedere con le vecchie professioni artigiane disegnate ancora da una vetusta e superata norma come il DM 37/08, ma anche riqualificando i tecnici già presenti sul mercato attraverso un processo di formazione continua che non può più essere lasciato alla buona volontà dei singoli e che deve essere approntato e finanziato in primis dalle Regioni, che hanno competenza in materia di formazione professionale. 

Al riguardo ci permettiamo di suggerire, per una volta, di agire possibilmente con provvedimenti coordinati, evitando quindi, come avviane normalmente, di avere 20 approcci diversi allo stesso problema; un lusso che un Paese piccolo come l’Italia non può più permettersi.

[ssba]